sabato 24 novembre 2012

Artù nella letteratura latina medievale



Come si è detto nel post precedente, il primo modello del mito arturiano si trova nell'Historia Regum Britanniae di Goffredo di Montmouth.
In tale modello i genitori di Artù sono Uther Pendragon, re supremo di Britannia, e lady Igraine di Tintagel, duchessa di Cornovaglia. Quando Uther si innamora di Igraine, ella è ancora sposata col duca Gorlois di Cornovaglia, che, dopo essersi accorto dell'interesse del re per sua moglie, la tiene segregata nella fortezza di Tintagel, che si trova nell'estrema punta della Cornovaglia. 
Le rovine del castello di Tintagel esistono ancora e si possono visitare.



Il concepimento di Artù avviene grazie ad un incantesimo operato dal mago Merlino, che dona ad Uther le fattezze di Gorlois, il quale viene ucciso poi dagli uomini del re. In cambio Merlino ottiene di diventare il tutore del bambino che nascerà da quell'unione. E così per la prima volta il personaggio di Merlino, presente nella letteratura celtica, viene collegato a quello di Artù. Può sembrare strano che in una cornice cristiana come quella del ciclo bretone ci sia spazio per la magia, ma dobbiamo tenere a mente le origini celtiche del mito, che giustificano la presenza della magia in un personaggio come Merlino che molto probabilmente rispecchia la figura di un antico druido della religione dei Celti.



In questa prima versione letteraria la spada di Artù si chiama Caliburnus, "acciaio", da cui deriverà, tramite l'ablativo di materia "Ex caliburno", la successiva forma Excalibur.
Vengono poi narrate dodici battaglie vittoriose di Artù contro i Sassoni, di cui la più importante è quella di Mount Badon, collocata nell'anno 516.
Il modello del Montmouth fornisce anche i nomi dell'ultima battaglia, combattuta a Camlann nel 537 contro il traditore Mordret (che ancora non è diventato il figlio incestuoso di Artù e sua sorella Morgana, come accadrà nelle versioni successive), e il luogo dove Artù, ferito gravemente, viene condotto per rimanere in uno stato tra la vita e la morte, grazie alla magia: il luogo è Avalon, indicato secondo la nomenclatura inglese di Glastonbury.



La collina di Glanstonbury, detta Glastonbury Tor, si trova nella contea del Somerset, ed era anticamente chiamata, in lingua celtica, Yinis Witrin, isola di vetro, in quanto il territorio circostante, soggetto ad annuali inondazioni, trasformava la collina in un'isola che si specchiava nelle acque come  se queste fossero di vetro.
Tale isola era anche chiamata Avalon, la cui etimologia pare si possa ricondurre a "isola delle mele", per i frutteti che ospitava.
Luogo sacro per i Celti, la zona di Glastonbury lo divenne anche per i cristiani, che vi fondarono una abbazia, nelle cui rovine furono trovate le tombe di Artù e Ginevra.




L'abbazia fu distrutta per ordine di Enrico VIII Tudor durante lo scisma anglicano. Paradossalmente i Tudor erano gallesi, per ascendenza paterna (avevano anche i capelli rossi, tipici della popolazione celtica) e il fratello maggiore di Enrico VIII si chiamava Arthur.
C'era infatti, tra i Britanni e i Bretoni (cioè gli abitanti della Bretagna francese) la leggenda secondo cui Artù non era mai morto e un giorno sarebbe tornato per ridare la libertà alle popolazioni celtiche di Galles, Cornovaglia e Bretagna francese.
Questa leggenda va sotto il nome di "Speranza dei Bretoni", detta anche, per la sua improbabilità, la "Speranza vana".
Eppure ci furono due tentativi di riportare un Artù sul trono di Britannia.
Oltre a quello di Arthur Tudor, principe del Galles, c'è il caso di Arturo Plantageneto, duca della Bretagna francese e nipote di re Riccardo I Cuor di Leone. Arturo era erede di Riccardo, ma lo zio Giovanni gli usurpò il trono.
Nella prossima puntata parlerò di come il mito di Artù si è evoluto nei poemi cavallereschi.