giovedì 30 aprile 2015

Estgot. Capitolo 77. Waldemar riflette su Jessica e su se stesso




Prima di risvegliarsi, Waldemar sognò qualcosa che era realmente accaduto, il secondo giorno in cui si trovava ad Estgot, in pieno inverno, quattro mesi prima.
Jessica aveva suonato per lui al pianoforte.



Si risvegliò con quel sogno nella mente e la volontà di continuarlo.
Si ricordò di una cosa che Jessica gli aveva detto: "Entrerò dentro ai tuoi sogni, quando è già mattina e per quel giorno tu mi porterai con te".

Rimase dunque a sognare ad occhi aperti e a ritornare con la mente a quel giorno in cui erano seduti al pianoforte, fianco a fianco. Cosa suonava, Jessica, quel giorno?

Per Elisa. Il brano preferito di Virginia. 
Certo, Jessica aveva i suoi ricordi, sapeva che effetto mi avrebbe fatto. 
Ricordo come mi guardava, come osservava le mie reazioni. E mi piaceva... sì, che Dio mi perdoni... tutta quella situazione mi piaceva...





L'immagine di Jessica e quella di Virginia si erano sovrapposte nella mia mente: erano diventate una cosa sola. Non mi importava niente di quali fossero le intenzioni di Jessica: mi importava solo di avere ritrovato qualcuno che assomigliasse il più possibile a Virginia, colei che, andandosene, si era portata via la parte migliore di me.



Quel giorno non sapevo nulla di lei, nulla degli Iniziati, nulla di tutto ciò che sarei diventato.
L'unica cosa che sentivo era che io e lei eravamo destinati l'uno all'altra.

Nonostante la sua aria severa e triste, i suoi modi bruschi, non la trovavo antipatica, perché in fondo era come me, in quel momento: severo e triste, e brusco, e disperato.

Eravamo in sintonia, c'era già qualcosa che condividevamo e non erano solo i ricordi di Virginia, era qualcosa che aveva a che fare col nostro sentirci feriti dalla vita, esiliati in un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini, in una terra senza speranza.





Tutto ciò che sono diventato lo devo a lei.

Ho visto cose che nessun uomo potrebbe nemmeno immaginare. 
La mia mente ha percepito un'altra dimensione, ha viaggiato nello spazio e nel tempo. 
Ho parlato a tu per tu con gli Immortali.
Ho ridato un senso alla mia vita e ne ho generata una nuova che presto nascerà.

Lei mi ha ridato tutto ciò che avevo perduto.



Si sentiva finalmente contento di essere ciò che era.

Le mie orecchie sentono ciò che gli altri non possono sentire,  i miei sensi percepiscono piccole o grandi cose, vicine o lontane, che gli altri non possono vedere.
Eppure sono reali. E importanti.
Persino i loro pensieri entrano nella mia mente e le porte del futuro si aprono davanti a me.

Io sono tutto questo.

Questo sesto senso non è l'esito di imposizione subita, ma è il frutto di un esplicito desiderio: desiderio di salvare, di essere salvato, di essere completato.

Per troppo tempo ho vagato negli oceani della vita come un naufrago su una zattera, in attesa di una salvezza che venisse dall'esterno. 
Ma chi non si salva da sé non lo salva nessuno.

Sono consapevole di tutti i miei difetti, di tutti i miei limiti, delle mie meschinità. 
Me ne vergogno, me ne vorrei liberare. In parte forse potrò, e allora, pubblicamente, ne farò ammenda.

Ma c'è un'identità di fondo che non può essere stravolta. Un nucleo che c'è sempre stato, prima che la vita lo nascondesse dietro innumerevoli patine.

Così come il fiore non può scegliere il proprio colore, io non ho potuto scegliere l'indole di fondo della mia personalità. 

Ci sono cose che non si possono cambiare, cose che sono scritte nel nostro Dna, nella nostra natura più intima.

Solo quando ce ne rendiamo conto possiamo essere in pace con noi stessi ed essere contenti di quello che siamo.

E diventare adulti.

 Ed essere liberi.



Fiori (e non solo)