martedì 24 gennaio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 7. Il Reduce e il Profeta delle Acque

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Romano Monterovere lasciò parte del suo cuore ad Asmara.
La paura di morire in guerra lo aveva fatto sentire vivo. Finita la Guerra d'Africa, il ritorno alla normalità, all'opaca trafila delle cose, lo faceva sentire più morto dei suoi commilitoni caduti.
Si era portato dietro dei souvenir: elefanti d'ebano con zanne in avorio, statuette primitiviste, un sacchetto di seta con la sabbia del deserto, la fotografia di una ragazza etiope con cui aveva avuto una relazione.
Fino all'ultimo aveva coltivato l'idea di restare con lei ad Asmara.
Bisognava avere coraggio per fare quella scelta, ma Romano Monterovere era un uomo avverso al rischio.
Seppellì dunque parte del suo cuore in Eritrea e tornò nel pantano della Bassa Padana, dalla sua famiglia.
Arrivò a casa dei suoi, in quel posto dimenticato da Dio che era ed è Bagnacavallo, in divisa militare, con lo sguardo di chi aveva visto troppe cose.
Nei suoi occhi azzurri c'erano ancora l'Oceano Indiano e il Golfo di Aden.
Sarebbero rimasti lì per sempre, conferendogli quell'espressione distante, lontana, distaccata, che molti scambiarono poi per freddezza o indifferenza.
Nella Bassa ravennate ritrovò soltanto le torbiere e i canali dell'Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere.
Nel 1937 l'Azienda stava avendo un successo superiore ad ogni aspettativa.
I capitali forniti dallo zio Bassi-Pallai e il clima generale favorevole alle opere di bonifica dopo il prosciugamento delle Paludi Pontine, avevano contribuito a tale successo.
Non appena la famiglia Monterovere aveva incominciato a percepire l'odore dei soldi, le cose erano cambiate radicalmente.
Il vecchio patriarca Enrico aveva lasciato il lavoro alle Ferrovie e si era dedicato ai suoi principali interessi: mangiare, bere e andare a spasso.
I figli lavoravano tutti nell'Azienda, ma con diverse mansioni.
Ferdinando era il direttore. Il suo entusiasmo per la creazione di canali di scolo o di irrigazione era pari soltanto al suo vorace appetito a tavola.
Edoardo teneva la contabilità e si occupava delle questioni pratiche.
Lo zio Bassi-Pallai si occupava delle pubbliche relazioni: in pratica chiacchierava tutto il giorno.
Mancava qualcuno che facesse il commesso stabile nella sede dell'Azienda.
Inizialmente quel compito lo avevano dato a Tommaso, il fratello più giovane, ma lui aveva la brutta abitudine di prendersi delle pause che duravano ore intere, lasciando un cartello con scritto: "Torno subito". Per punizione finì a fare lavori di fatica nelle cave.
A Romano, che aveva una bella presenza e ispirava un senso di fiducia e serietà, il posto di commesso calzava a pennello.
Lui lo accettò con noncuranza. Dopo aver combattuto la Guerra d'Africa e aver visto quello che aveva visto, un posto valeva l'altro.
Tra Romano e Ferdinando c'era un abisso.
Romano era alto, longilineo, serio, severo, distante, perso in un mondo tutto suo, un mondo diverso, lontano.
Ferdinando era un entusiasta, un compagnone che amava la buona tavola, come dimostrava il corpo massiccio, simile a un armadio, e nel contempo era un visionario, che sognava di rendere navigabili i torrentelli da quattro soldi, sempre in secca, della Bassa Romagnola.
Aveva assunto periti tecnici e si avvaleva della consulenza di un ingegnere altrettanto visionario, che poi divenne socio dell'azienda.
Questo ingegnere, di nome Francesco Lanni, aveva progetti così ambiziosi, per quel che riguardava la creazione di canali navigabili, idrovore, condotti di irrigazione, collegamenti tra fiumi e mari, porti, laghi artificiali e altre amenità, che i suoi colleghi lo avevano soprannominato il Profeta delle Acque.
Sua moglie Giulia soffriva di una particolare forma di cardiopatia, per cui era sempre a letto.
Sua figlia Elisa era una ragazza molto timida, riservata, abile nei lavori di sartoria e amante della lettura, specie di romanzi d'amore. Il suo unico vizio era il fumo.
Un giorno accompagnò il padre all'Azienda dei Fratelli Monterovere e fu lì che i suoi grandi occhi neri incontrarono gli occhi azzurri del reduce della guerra d'Africa e scorsero, in quegli occhi, l'Oceano Indiano e il Golfo di Aden, e una nostalgia divorante di qualcosa che forse non era mai esistito.

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