giovedì 1 giugno 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 72. Chi va e chi resta

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Nell'estate del 1987, Riccardo Monterovere trascorse una settimana a Rimini, ospite della famiglia del suo migliore amico, Federico Perfetti, nella residenza estiva del nonno materno di lui, il Giudice Giuseppe Papisco.
Il Giudice e sua moglie Ginevra Orsini, sorella di Diana, erano presenti, anche se lui appariva piuttosto malandato.
Eppure l'anziano magistrato aveva uscite imprevedibili e insospettabili per uno della sua età: quando credeva di non essere visto, né sentito, canticchiava brani di Gianna Nannini e Francesco De Gregori.
Una sera Riccardo lo sentì mentre, sotto la doccia, cantava Rimmel, con un'intonazione nel contempo disperata e piena di speranza:
<<...e un futuro invadente, se fossi stato un po' più giovane, l'avrei distrutto con la fantasia, l'avrei stracciato con la fantasia...>>
Quale futuro invadente può avere un vecchio se non la morte?
Un giorno lo trovò con una raccolta di poesie di Cesare Pavese in mano, assorto, mentre recitava, ad occhi chiusi:

"Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
da mattina a sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla"


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Presagi...
Forse aveva già intravisto gli occhi dell'angelo della morte?
Un mese dopo il Giudice si sentì male e fu ricoverato d'urgenza con una diagnosi di sclerodermia in fase acuta e blocco intestinale.
Si decise di operarlo, anche se il fisico era molto debole.
Prima di andare sotto i ferri, dichiarò:
<<In fondo, si potrebbe anche morire felici... se si morisse davvero>>
Cosa voleva dire?
Temeva forse le fiamme dell'Inferno o l'implacabile legge del Karma?
La sua opera di magistrato era stata soprattutto quella di fare in modo che suo cognato Ettore Ricci fosse sempre scagionato da ogni accusa che gli veniva rivolta.
Per tutte le altre cause che aveva affrontato come Giudice, era sempre stato clemente, perché riteneva che, nella scelta tra giudicare e capire, il secondo punto fosse più importante.
Non sapremo mai se fu castigo o fu misericordia la sorte che gli toccò, dal momento che tutto ciò che accadde ad Ettore Ricci, da vivo, fu qualcosa di ben peggiore della morte.
Giuseppe Papisco morì sotto i ferri all'età di 81 anni, lasciando la famiglia nella costernazione più totale.
Le figlie Anna Trombatore e Benedetta Perfetti erano sconvolte, ma mai quanto la loro madre.
Ginevra Orsini, che era ancora una bella donna dall'aspetto aristocratico e dai capelli ben curati, si mise in lutto strettissimo.
I Monterovere l'andarono a trovare nella sua villa dei quartieri buoni.
Per tutto il tempo parlò del marito, tracciando di lui un ritratto agiografico, ben lontano dalla realtà.
<<Giuseppe era un marito fedele e un giudice integerrimo>>
Purtroppo, in verità, non era stato né l'uno né l'altro.
Forse gli altri potevano anche crederci, ma non la figlia di Ettore Ricci.
E tuttavia Silvia Monterovere mantenne con la zia un atteggiamento di sincera commozione, perché il Giudice Papisco, pur non essendo stato affatto un marito fedele e un giudice integerrimo, era stato sempre e comunque un vero amico per Ettore e la sua famiglia.
Forse era stato persino un buon padre per i suoi figli e questo era bastato a Ginevra per assolverlo da tutte le altre colpe.O forse Ginevra aveva deliberatamente scelto di non vedere e di non sapere, perché a questo mondo ci sono cose che è meglio non vedere e non sapere
In fondo, chi non vuol far sapere una cosa, non deve confessarla neanche a se stesso, perché non bisogna lasciare tracce. 
Poi raccontò di aver fatto un incubo terribile:
<<Ho sognato che Giuseppe era ancora vivo. E' stata una cosa spaventosa!>>
La frase parve piuttosto incoerente con tutto quanto aveva detto prima, ma ormai tutti erano abituati alle sue stranezze.
Forse Papisco era stato infedele perché Ginevra aveva tutte le tare degli Orsini, comprese le nevrosi e i disturbi dell'umore e della personalità.
Forse lui si era pentito di quelle avventure.
E forse si era anche pentito di aver insabbiato tante indagini, negando giustizia a Isabella Orsini, ad Augusto Orsini e forse anche ad altri membri della famiglia.
Troppo tardi.
Ai funerali il vescovo tenne una strana omelia
<<Mi rivolgo allo Stato, mi rivolgo alla Magistratura! 
Io vi chiedo di identificare e di castigare esemplarmente tutti i pubblici ufficiali che abusano del loro potere, affinché essi non rimangano sempre impuniti. E ancor di più i loro mandanti, i loro corruttori, coloro che li hanno traviati dalla retta via. 
L'opinione pubblica attende sempre che giustizia sia fatta e che non si possa nutrire il minimo dubbio sulla volontà efficace di giungere alla scoperta e alla dimostrazione della verità dei fatti. 
Guarda, Signore, e fissa lo sguardo perché sto diventando spregevole agli occhi di chi mi contempla! 
Guarda, Signore, e fissa lo sguardo perché sto diventando spregevole agli occhi di chi mi contempla!>>
Quel discorso lasciò tutti molto imbarazzati.
Le allusioni del vescovo sconvolsero Ettore Ricci, perché capì di esserne il destinatario.
Questo aumentò le sue già forti inquietudini.
Le morti di Giuseppe Papisco e della Signorina De Toschi lo avevano molto rattristato, non tanto perché fossero parenti acquisiti, quanto piuttosto perché loro gli avevano sempre coperto le spalle ed ora che non c'erano più, Ettore sapeva che le sue spalle erano pericolosamente indifese.
Persino Riccardo era rattristato.
Il Valzer degli Addii, incominciato con la morte di sua nonna paterna Giulia e continuato con la dipartita delle sue tre bisnonne, ora si prendeva anche quel prozio colto ed elegante, che con lui era stato sempre gentile.
I suoi sentimenti furono compresi da sua nonna materna Diana, che gli disse:
<<La morte non è quel che di giorno in giorno va perduto, ma quello che resta nella tua memoria, per poter essere raccontato. 
E così è anche la vita, che non è tanto quella che viviamo, quanto quella che ci ricordiamo, e ce la ricordiamo per raccontarla>>
Anna Papisco, figlia del Giudice e professoressa di lettere, lesse il finale de "La casa dei doganieri di Montale", una delle poesie preferite del suo defunto padre:
<<...Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende… ).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. 
Ed io non so più chi va e chi resta>>

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